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L'Appello

 

Le notizie sulla soppressione della Provincia si facevano insistenti. Gli elementi di accusa a suo carico, nel giudizio della classe politica democratica, erano almeno due. Il primo incontestabile: essere stata una creazione del fascismo. Il secondo: la riparazione da offrire a Caserta alla quale il fascismo aveva negato la dignità di capoluogo e di Provincia.

Il pericolo maggiore veniva da Caserta, la cui rivendicazione minacciava gravemente l'integrità territoriale della provincia pontina perché sollecitava la riaggregazione del sud pontino, passato a Roma nel 1927 e da Roma a Littoria nel 1934. La riabilitazione di Caserta, a capoluogo di Provincia, aveva ottenuto l'avallo del Governo di Salerno (20). Oltre a Formia e a Gaeta, altri centri pontini, non senza titoli ed appoggi politici, si erano candidati a capoluogo di Provincia. Tra questi Terracina, la più determinata. Tuttavia, la sua azione non aveva le tendenze separatistiche elaborate da Formia con la carta della "provincia del Garigliano". Anche Velletri ebbe qualche prètesa sull'area pontina.

I firmatari dell'appello non nascosero il loro sconforto. Le notizie, sulla possibile soppressione della provincia di Littoria e sul declassamento del capoluogo a semplice Comune, arrivavano in un momento "tanto delicato ed aspro della ricostruzione". Osservarono che chi stava reinvestendo, per riparare case, industrie e commerci, era scoraggiato e chi progettava nuove costruzioni era incerto. "E' necessario, perciò, essi scrissero al presidente Ivanoe Bonomi, che una assicurazione venga dal Governo a tranquillizzare queste operose e coraggiose popolazioni che tanto hanno perduto e sofferto per i rigori e per i colpi della guerra, che ha infuriato su queste disgraziate contrade".

Il quadro rappresentato era vero e desolante: "La bonifica pontina è stata quasi distrutta dall'ira tedesca e si sta ora combattendo per rifare quanto è stato barbaramente disfatto; la malaria infuria su una vastissima zona di palude superiore per superficie a quella occupata dalle acque prima della bonifica...". C'era, comunque, una volontà di rinascita: "cooperative di produzione si vanno istituendo al fine di eseguire, anche con sollievo morale ed economico degli operai, i lavori di riparazione; le colture agrarie, devastate dal nemico ed abbandonate dagli agricoltori, stanno riprendendo e devono restaurare il loro ritmo abituale".

Lo Stato e i privati avevano investito miliardi in "fabbricati forti, eleganti, igienici". La soppressione della "qualità di capoluogo" avrebbe provocato l'abbandono della città "da parte dei suoi abitanti che sono in massima parte impiegati e profèssionisti, mentre l'altra parte è costituita da addetti alle industrie ed ai commerci necessari alla vita di coloro".

L'invocazione ad Ivanoe Bonomi fu appassionata: "Eccellenza, i cittadini di questa nostra tormentata terra, usciti appena dalla tormenta di oppressione, di distruzione e di sangue del fascismo, del nazismo e della guerra, anelano solo ad una tranquilla e fidente operosità nel riscatto da un tristissimo passato che non è il loro passato di colpa, nel diritto dei liberi, che la loro città. riconsacrata in una nuova denominazione che significhi redenzione, purezza di intenti e costante amore della libertà, resti il capoluogo di una provincia che fu creata non dal fascismo, ma dal lavoro di quegli umili e strenui lavoratori, che dettero alla bonifica le loro fatiche, i loro stenti, la loro vita. Vi chiediamo, Eccellenza, di continuare la lotta difficile ed aspra contro la malaria, contro la distruzione; Vi chiediamo di ricostruire e non di distruggere. Sopprimere questo capoluogo significa, infatti, distruzione e non costruzione".

La questione del cambio del nome fu posta nuovamente dalla Prefettura alla Deputazione provinciale insediatasi il 12 ottobre 1944 sotto la presidenza di Leone Zeppieri. Per la Prefettura era opportuno che il parere, già espresso dal commissario, fosse fatto proprio dalla Deputazione. L'argomento andò in discus¬sione nella seduta del 27 gennaio 1945. Le assenze di alcuni "deputati" suggerirono di rinviare la decisione ad altra data, "volendo sentire i partiti politici locali sulla opportunità o meno di fare luogo al cambiamento del nome". Nello stesso giorno, il commissario prefettizio del comune di Littoria, con la deliberazione n. 13, sollecitava l'autorizzazione del ministero dell'Interno a modificare il nome di Littoria in Latina.

La consultazione della Deputazione provinciale con i partiti fu rapida. Tutti d'accordo nel ripudiare il nome di Littoria e di cancellare l'ultimo legame col passato regime. Il fronte, però, restava diviso sulla conservazione della Provincia.

Il 31 gennaio del 1945, la Deputazione, presieduta da Leone Zeppieri, riesaminò il problema del cambiamento del nome di Littoria e formulò il richiesto parere definitivo. La proposta denominazione di Latinia, suggerita dal ministero dell'Interno, fu rivista criticamente. Anche la Deputazione non l'accettò perché la sua desinenza finale richiamava alla mente il fascismo "che allo stato si vuole eliminare poiché costituisce il ricordo di un periodo di infausta memoria

La Deputazione, rievocando la storia del territorio, risali alle origini volsche delle città pontine scomparse. Sarebbero andati bene anche i nomi di Pomezia e di Pontina che evocavano rispettivamente Suessa Pometia e la tribù Pomptinia, ma il primo già esisteva e il secondo si sarebbe confuso con Pontinia. D'altra parte, "i precedenti storici" del territorio, secondo la Deputazione, giustificavano "pienamente" anche la scelta di Latina perché "la nuova denominazione risponde alla posizione geografica di detto centro abitato in quanto sorge nella parte centrale della pianura pontina che è parte integrante della regione che porta il nome del popolo latino".

Mentre si attendeva il decreto di cambiamento del nome, da Littoria a Latina, il dibattito politico tra le forze politiche si fece aspro sulle ragioni della conservazione della Provincia. Alcuni partiti politici chiedevano insistentemente la sua soppressione. L'accusa era sempre la stessa: il suo marchio d'origine, la sua filiazione fascista. Nei comizi più si rimescolava il passato e più montava l'opposizione a Littoria capoluogo.